mercoledì 3 luglio 2013

Immobiliare business: quanto pesa la crisi di Pierpaolo Molinego trenonline.it

Sono 383.883 le imprese nate nel 2012 (il valore più basso degli ultimi otto anni e 7.427 in meno rispetto al 2011), a fronte delle quali 364.972 - mille ogni giorno - sono quelle che hanno chiuso i battenti, 24mila unità in più rispetto all’anno precedente. Come conseguenza, il saldo tra nuove imprese e cessate si è attestato sul valore di 18.911 imprese, il secondo peggior risultato del periodo considerato - dopo due anni consecutivi di recupero - e vicino a quello del 2009, l’anno peggiore dall’inizio della crisi. In questa situazione, non sorprende che anche il mercato degli immobili nel nostro Paese stia registrando un andamento estremamente negativo; ciò è vero per gli immobili residenziali ma anche per quelli non residenziali, e la crisi riguarda sia le locazioni che le compravendite. In un contesto così incerto Tecnoborsa, attraverso il proprio Osservatorio di Economia Immobiliare, ha voluto approfondire la conoscenza del fenomeno, esplorando il rapporto tra imprese e mercato immobiliare: per il secondo anno consecutivo viene, dunque, realizzata un’Indagine sulle aziende italiane che operano nei settori del commercio, del turismo, dei servizi e dell’artigianato, il cui scopo è quello di costituire una base di dati e informazioni utili alla comprensione di come sta cambiando il mercato immobiliare a supporto dell’attività dell’impresa. In questo senso si sono approfonditi: a. i cambiamenti in atto nel mercato immobiliare business: immobili per uffici, vendita al pubblico, produzione (sono esclusi gli impianti industriali); b. le tendenze e le aspettative per il prossimo futuro.
L’indagine consente di comprendere meglio il mercato immobiliare non residenziale fornendo alcune chiavi interpretative per la lettura dei fenomeni.
Inoltre, nella presente Indagine per la prima volta si è voluta anche analizzare l’attenzione che le aziende dedicano al risparmio energetico e all’impatto ambientale, per verificare se e come le imprese italiane sono pronte a contribuire alla sfida lanciata dall’Unione Europea di incrementare l’efficienza energetica senza diminuire, bensì migliorando, gli standard di produzione e di vita del Paese.
Dall’Indagine Tecnoborsa sulle imprese operanti nelle 12 aree metropolitane analizzate è emerso che il 16% di queste sono state fondate negli ultimi dodici anni, mentre la quasi totalità ha una sede unica, confermando che il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è fortemente caratterizzato dalla presenza di micro e medie imprese.
Andando a esaminare le funzioni d’uso cui sono adibite le sedi aziendali si rileva che il 28,5% di esse sono utilizzate a ufficio, il 21,5% a vendita al pubblico, il 15,1% a produzione, l’11,8% sia a ufficio che a produzione, un ulteriore 17,9% a ufficio e vendita al pubblico, il 3,8% a vendita al pubblico e produzione; infine, l’1,5% delle sedi vengono utilizzate per tutte e tre le funzioni considerate; dunque, per il 65,1% delle imprese i locali sono utilizzati per un’unica funzione d’uso, mentre per il rimanente 34,9% la sede è plurifunzionale.
L’utilizzo della sede di riferimento come ufficio prevale ovviamente per aziende operanti nel ramo dei servizi (87,2%), mentre l’attività di produzione è logicamente diffusa per le attività manifatturiere di tipo artigianale (92,5%)2. Per quanto concerne il titolo di utilizzo dei locali, si rileva che ben il 54,7% delle aziende opera in sedi prese in affitto, fenomeno ormai consolidato nel tempo; il 16,8% è localizzato in strutture di proprietà e il 28,6% utilizza in leasing la sede analizzata. Rispetto all’Indagine precedente è in calo la quota di imprese che sono in affitto (-2,1 punti percentuali); viceversa, è in crescita la percentuale di quelle che lavorano in immobili di proprietà (+2,6 punti percentuali); infine, cresce l’impiego del leasing immobiliare. L’affitto prevale tra le imprese commerciali e turistiche e, più in generale, nei servizi (dove, peraltro, la variabilità dei fatturati sconsiglia spesso l’acquisizione), mentre il leasing e la proprietà crescono nei settori artigiani. Dall’analisi territoriale emerge che le aziende in affitto prevalgono a Parma, Pisa e Napoli; quelle in leasing a Roma, Bari, Brescia, Perugia e Ancona; quelle di proprietà a Pisa, Ascoli Piceno e Cagliari. Invece, dalla relazione tra funzione d’uso e titolo di utilizzo dell’immobile si evince, in particolare, come il leasing risulti superiore nel caso di utilizzazione dell’immobile come ufficio.
Tra le imprese che hanno dichiarato di operare in un immobile di proprietà, è interessante notare come nel 41% dei casi l’acquisto sia avvenuto attraverso il ricorso a un mutuo, nel 14,3% con mezzi propri e nel 4,3% si è utilizzata la formula del leasing con riscatto, mentre nel 40,4% si riscontra che il locale era nelle disponibilità aziendali. Si può evidenziare, inoltre, come il settore di appartenenza influisca nella scelta del ricorso al mutuo; infatti, le aziende che hanno fatto ricorso a un mutuo prevalgono nettamente nel commercio e nei servizi, mentre le imprese artigiane operano in locali che erano nelle loro disponibilità. Il ricorso a un mutuo per finanziare l’acquisto dell’immobile risulta particolarmente significativo nelle aree metropolitane di Milano, Brescia, Parma, Perugia, Pisa e Cagliari. Più in generale, il finanziamento prevale ampiamente nelle regioni settentrionali del Paese, certamente per una migliore performance economica ma anche per le note difficoltà di accesso al credito che si riscontrano nelle regioni del Sud.
Circa il 16,9% delle imprese dichiara di aver cambiato la sede negli ultimi 10 anni: il 10% lo ha fatto tra il 2002 e il 2007; il 5,2% tra il 2008 e il 2010 e l’1,8% nel biennio tra il 2011 e il 2012. Da un focus sugli ultimi due bienni, 2009-2010 e 2011-2012, si registra comunque un decremento di quasi il 50% tra chi ha dichiarato di aver cambiato la sede e, infatti, si passa dal 3,4% all’1,7%. Andando a vedere l’aggregato delle aziende che negli ultimi dieci anni hanno cambiato almeno una volta la propria sede, il fenomeno ha riguardato il 21,8% di chi oggi è in affitto, il 12,9% di chi è ricorso a un leasing e solo l’8,1% di chi è in locali di proprietà.
Rispetto all’uso cui sono adibiti attualmente i locali, la mobilità è stata piuttosto elevata per gli uffici (il 21,8% ha cambiato sede almeno una volta nell’ultimo decennio), e per le unità immobiliari destinate alla produzione (19,6%); viceversa, è bassa per quelli destinati alla vendita, fenomeno questo strettamente correlato al fatto che un cambiamento di sede può comportare una perdita o comunque un disorientamento della clientela, particolarmente difficile da recuperare nel commercio. Con riferimento alle aree metropolitane osservate, quelle nelle quali il fenomeno è stato rilevato più frequentemente sono state Milano, Parma, Perugia, Vicenza e Pisa.
Le ragioni che hanno spinto negli ultimi dieci anni le aziende a cambiare sede sono sostanzialmente tre: l’esigenza di locali più ampi, ragion per cui il 46% delle aziende ha cambiato sede; il 24,1% lo ha fatto per andare in locali più piccoli; il 23,9% per l’esigenza di ridurre i costi; infine, con un notevolissimo divario, seguono tutte le altre motivazioni. Le prime due motivazioni indicate sono le stesse riscontrate nella precedente Indagine anche se, per quanto riguarda la necessità di spazi più grandi, si riscontra un calo di 8 punti percentuali.
Nell’ultimo decennio l’esigenza di locali più ampi è stata una delle ragioni determinanti del cambiamento di sede delle aziende di Brescia, Parma, Perugia, Ancona, Pisa e Ascoli Piceno. Inoltre, è risultata particolarmente sentita dalle aziende di piccole dimensioni (1-49 addetti), dalle aziende artigiane, nonché dalle aziende del commercio. Viceversa, la necessità di andare in locali più piccoli è stata una delle motivazioni principali per le imprese che operano sul territorio di Roma e Milano, non a caso le città in cui i costi legati agli immobili sono tra i più alti in Italia.
A coloro che non hanno mai cambiato sede negli ultimi dieci anni è stato chiesto se hanno mai preso in considerazione l’idea: il 4,6% ha risposto positivamente ma afferma altresì di aver scartato l’idea in un secondo momento; ben il 92,8% ha detto di non aver mai considerato questa possibilità e solo il 2,6% ha preso in considerazione tale eventualità. Rispetto all’Indagine 2012, dunque, non si sono rilevate variazioni significative, confermandosi il dato di una mobilità estremamente intenzionale e consapevole da parte delle aziende. Alla base dell’abbandono del progetto di trasferimento ci sono prevalentemente le difficoltà organizzative e i costi che il cambiamento comporta. Va sottolineato che la quota di imprese che ha dovuto abbandonare il progetto di un trasferimento a causa delle difficoltà di trovare le risorse finanziarie necessarie è aumentata di ben 18,7 punti percentuali rispetto a quanto rilevato nel 2012 e sicuramente ciò è dovuto tanto alla crisi economica generale quanto all’ulteriore stretta nella concessione dei mutui e dei finanziamenti attuata dagli istituti di credito. Tra le aziende che hanno scartato l’idea di cambiare location prevalgono quelle che operano nei settori dei servizi e dell’artigianato, situate, in particolare, nei Comuni di Roma, Brescia e Vicenza.
La quasi totalità delle imprese che non hanno mai valutato un trasferimento di sede afferma che l’attuale location è sostanzialmente adatta alle proprie esigenze (94,7%), mentre il 4,6% sta valutando l’idea di cessare l’attività e il restante 0,7% ritiene di chiudere la sede oggetto di analisi della presente Indagine. Va sottolineato il fatto decisamente rilevante che, rispetto al 2012, sono quasi raddoppiate le aziende che stanno valutando di chiudere l’attività. Tra queste prevalgono le imprese del settore del commercio localizzate a Milano, Bari, Parma, Ascoli Piceno e Cagliari

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