martedì 25 marzo 2014

Fondi immobiliari, sogno svanito ma gli stranieri corteggiano l’Italia -repubblica.it

C’erano una volta i fondi immobiliari. Quando nacquero in Italia, dopo tante attese (si era agli inizi di questo secolo) le aspettative arano molto elevate. Sull’onda del più lungo boom immobiliare che la storia del dopoguerra ricordi, grandi banche e poi operatori specializzati aprirono una serie di strumenti sia per il segmento retail che per quello istituzionale. Con il passare del tempo, però, questi prodotti hanno largamente disatteso le aspettative. Soprattutto il segmento retail si è dimostrato, alla luce dell’attuale normativa, molto fragile. Perché questi fondi avevano una durata che poi si è dimostrata troppo breve per fronteggiare il lungo “inverno” dei prezzi dopo la scorpacciata tra il 2002 e il 2007. Molti fondi, con durata tra i 7 e i 10 anni, si sono trovati nell’impossibilità di vendere i propri immobili senza produrre una rilevante perdita per il consumatore finale. Detto per inciso, i fondi destinati agli istituzionali hanno la massima flessibilità perché possono cambiare la duration quando vogliono con un voto dell’assemblea; ed è infatti ciò che è avvenuto: molti strumenti istituzionali hanno allungato la scadenza per evitare di dover vendere in un periodo negativo per i prezzi. I fondi retail hanno invece una maggiore rigidità, anche per il fatto di dover per forza essere quotati in Borsa.

Recentemente le autorità di controllo hanno concesso la possibilità anche a questi prodotti di allungare un po’ la scadenza in attesa di tempi migliori. In un caso, il fondo istituzionale Donatello di Sorgente ha lanciato un’Opa nel 2012 su un altro fondo della stessa casa, però retail, di nome Caravaggio: lo scopo era quello di consentire ai sottoscrittori-famiglie un’onorevole via di fuga con un rendimento accettabile mentre Donatello ha preso gli immobili sottostanti e li venderà quando le condizioni del mercato saranno migliori. 

Nel complesso, i fondi immobiliari si sono un po’ ripresi dopo il picco negativo dell’ultima parte del 2012, quando l’indice Bnp Paribas Reim dei fondi immobiliari italiani aveva toccato 106,25 (base 2002 = 100). Nel marzo 2013 l’indice ha infatti toccato quota 138,58. Comunque lontanissimo dal record di 183,07 del dicembre 2006. Sempre in tema di indici, Bnp Paribas Reim ha mostrato che, fino al dicembre 2011, l’indice dei fondi immobiliari aveva performato, nonostante il calo tra il 2007 e il 2008, meglio dei titoli di Stato italiani. A partire da quella data, tuttavia, i titoli di Stato hanno fatto meglio: insomma chi avesse investito in quest’ultima asset class avrebbe portato a casa rendimenti migliori dal 2002 a oggi. Un altro indicatore dello stato di salute dei fondi immobi-liari retail è lo “sconto” rispetto al Nav (net asset value, il valore effettivo del patrimonio). Nel dicembre del 2002 lo scarto fra la quotazione in Borsa e il valore del patrimonio era fermo al 30 per cento: una percentuale considerata comunque fisiologica perché l’investimento immobiliare avviene in Italia attraverso fondi chiusi, che sono poco liquidi e che implicano un orizzonte di lungo periodo (chi vuole uscire prima, dunque, deve pagarne lo scotto). Questo sconto era sceso alla fine del 2012 fino a quota 58,93 per cento, per poi risalire pian piano verso quota 40 per cento, dove si trova adesso: ma è sempre molto elevato. Tuttavia ci sono segnali di speranza per il prossimo futuro. «Dal nostro punto di osservazione - dice Stefano Cervone, direttore generale di Sorgente Group - riscontriamo un rinnovato interesse per il mercato immobiliare italiano da parte dei capitali internazionali. Non si tratta di un’attenzione momentanea dettata da dinamiche speculative o comunque di breve termine. Infatti diversi investitori stranieri scelgono di entrare nel capitale di marchi italiani di grande profilo, con la finalità dunque di una presenza organica, di lungo periodo».

Per quanto riguarda l’immobiliare, questo interesse si focalizza soprattutto sui mercati delle città principali, «che sostiene Cervone - sono considerate centri propulsori dai quali ripartirà il processo di crescita, su immobili già a reddito e in percentuale minore su progetti di sviluppo. Percepiamo la convinzione che l’economia italiana sia arrivata al punto di recessione più basso della forchetta, dal quale sta partendo una ripresa strutturale ». Questi fondi avevano una durata che poi si è dimostrata troppo breve.

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