lunedì 21 ottobre 2013

Poco reddito e valori in calo, il mattone non è per sempre -Repubblica.it


Roma «I l mattone? Un retaggio del passato. Buona parte della generazione dei 40-50enni non ha nemmeno più il cash flow per mantenere i grandi livelli di investimenti immobiliari raggiunti nel corso del tempo, e infatti li sta vendendo o trova altre soluzioni. Non parliamo poi di nuovi investimenti, che davvero non ci sono». Massimiliarno Cagliero, amministratore delegato e chief investment officer di Banknord, fotografa una situazione che diventa ogni giorno più chiara: ai ricchi clienti del private banking importa sempre meno di detenere una quota rilevante e importante di immobili nella propria asset allocation. E non si tratta soltanto di una mera “sensazione” o di una tendenza, ma di un fatto ormai assodato e statisticamente rilevabile. Secondo l’Aipb, l’associazione italiana del private banking, abbiamo assistito negli ultimi tre anni — complice la crisi — a un mutamento a dir poco epocale: da asset class prevalente all’interno del patrimonio familiare, con il 44 per cento del totale nel 2010, si è passati nel 2013 a una quota immobiliare scesa repentinamente al 39 per cento. Ma, cosa ancora più clamorosa, ora al primo posto nelle asset class, c’è il comparto finanziario con il 44 per cento del totale. In soli tre anni si è assistito al completo rovesciamento di una situazione che andava avanti da sempre. «Sì — conferma Paolo Molesini, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Private Banking — in effetti gli italiani, inclusi

quelli più ricchi, negli ultimi 60 anni avevano costruito il loro sistema previdenziale attorno al mattone.
Comprare immobili era un sistema di risparmio molto comune, e lo hanno fatto tutti, dalle classi meno abbienti a quelle più benestanti». Ma con la grande crisi qualcosa si è spezzato: il cerchio magico del mattone non è sembrato più adatto alle nuove esigenze. «Il punto — spiega Molesini — è che gli immobili si sono rivelati buoni nel periodo di accumulo ma non in quello di “decumulo”. Ciò è accaduto soprattutto perché sia i prezzi sia i rendimenti reali sono scesi moltissimo, soprattutto per gli immobili di pregio, che sempre più spesso restano sfitti». In altre parole, gli immobili rendono poco, in questa lunga fase di recessione molto meno di altri asset mobiliari, che non a caso sono preferiti. Ma non è soltanto un periodo sfortunato, qui si tratta di un cambiamento epocale, di una valutazione più disincantata di ciò che un immobile può valere e di come può servire all’interno di un portafoglio familiare diversificato. «È cambiamo il mooddegli investitori — conferma Marco Angelucci, responsabile real estate advisory di Unicredit Private Banking — . Il decremento nel valore degli immobili non è immediatamente percepibile finché uno non cerca di vendere. Ma il decremento nella redditività è diventato rilevante, in un contesto di mercato in cui se un immobile si libera diventa oltremodo difficile affittarlo: i canoni si sono compressi in maniera significativa». «Di sicuro l’amore per il mattone è molto calato — dice Cagliero — . Del resto ciò è coerente con un mercato finanziario sviluppato. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti vediamo che la quota degli immobili nel patrimonio familiare raramente supera il 20-25 per cento del totale. Possedere tanti immobili è proprio di mercati finanziari immaturi». Se è vera questa tesi e visto che i ricchi clienti del private banking sono in Italia ancora al 39 per cento del totale per quanto riguarda la quota del mattone, vuol dire che la strada della “normalizzazione” è ancora lunga. In queste circostanze, sembrerebbe che la linea di condotta dei private banker sia quello di consigliare ai propri clienti di ridurre la quota di real estate. In effetti se in soli tre anni questa quota si è ridotta di ben 5 punti percentuali vuol dire che in parte lo “smobilizzo” è già avvenuto. «Ma bisogna andarci cauti — dice Molesini — . Noi consigliamo, ove possibile, di alleggerire il portafoglio immobiliare ma soltanto dove esso non ha una quotazione internazionale, e questo accade quando siamo di fronte a bei palazzi o ville in località secondarie italiane. Consigliamo all’opposto di tenere gli immobili di qualità nelle grandi città e nei posti graditi ai nuovi investitori americani, russi, tedeschi e cinesi. Ad esempio vale senz’altro la pena di tenere gli immobili a New York, Londra, Parigi, Venezia, Roma, Milano ma anche Capri, Forte dei Marmi. Molti clienti del private banking non si rendono neanche conto di quanto poco valgano certi immobili di pregio magari ereditati dai padri o dai nonni, ma di fatto invendibili, se non quando cercano effettivamente di cederli: «C’è poco da fare — ricorda Molesini — . Gli italiani sono senz’altro dei ricchi che però guadagnano poco. C’è tanto capitale immobiliare con rendimenti prossimi allo zero». Da notare anche il nuovo interesse dei clienti anche per un investimento immobiliare più liquido come quello dei Fondi. Quando possibile, i private banker spingono i clienti a fare uno switch tra immobili detenuti integralmente e quote di fondi immobiliari. Ma la direzione di marcia è sempre quella di ridurre la quota di investimenti nel mattone e di aumentare quella nel patrimonio finanziario. L’immobiliare era l’asset class prevalente all’interno del patrimonio familiare, con il 44 per cento del totale nel 2010.

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