domenica 11 agosto 2013

Cina, la Parigi di cartapesta dove nessuno vuole vivere di Ilaria Maria Sala - lastampa.it



Vicino a Hangzhou, una storica città della Cina meridionale, famosa per il suo Lago Occidentale (Xihu) che ha ispirato nei secoli poeti e pittori, il pregiatissimo tè dal villaggio Pozzo di Drago (Longjing) e la manifattura della seta, è stata costruita un’assurda, surrealista replica di Parigi. Naturalmente, con tanto di Tour Eiffel (alta 108 metri, contro i 324 dell’originale) e imponenti palazzi chiari dal tetto grigio, che si affacciano lungo ampi viali fotocopiati su quelli costruiti dal Barone Haussmann nell’800, durante il Secondo Impero. Ma questa replica è una città periferica, pensata per ospitare diecimila persone, che invece giace, come molti altri arditi cloni di cui la Cina è prodiga, quasi deserta.  

Il progetto è del gruppo Zhejiang Guangsha Co Ltd, una società immobiliare di rilievo, quotata in Borsa (ma che ha perso più del 18% nell’ultimo anno) e specializzata nella costruzione di ville, palazzi e intere città-satellite delle metropoli cinesi. Zhejiang Guangsha non è l’unico immobiliarista che si ispira, quando non copia, modelli architettonici o urbanistici. Come lui, ce ne sono molti altri. C’è chi ha costruito una replica della Casa Bianca nel bel mezzo della regione dell’Anhui, una delle meno abbienti del Paese (ma l’idea è piaciuta tanto che le Case Bianche, in Cina, non si contano), o chi ha deciso di replicare, mattone per mattone, Hallstatt, un villaggio scenico dell’Austria che si specchia su un lago alpino e che, per il suo passato preistorico e le miniere di sale, è annoverato fra i luoghi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Hallstatt è stata clonata dalla Minmetals Land Ltd, il braccio per la promozione immobiliare della China Minmetals Corp, il principale gruppo di metalli cinese che, come ogni gruppo industriale cinese, si occupa anche di immobiliare.  

Fuori Shanghai c’è Thames Town, costruita come le città mercantili inglesi, approvata e fatta costruire dalla municipalità di Shanghai: anch’essa semi deserta, popolata soprattutto di novelli sposi che vanno, in abito di nozze, a fare le foto da mettere nell’album matrimoniale. Sembra un assurdo, uno spreco, ma il business vero qui è già avvenuto, ed era l’edificazione stessa. Perché il settore immobiliare conta e ha contato in modo cruciale nella strabiliante crescita economica cinese degli ultimi trent’anni: un settore spesso imbizzarrito, che vede città come Pechino o Shanghai costare già ora molto più che non New York o Londra – o la stessa Parigi. Malgrado gli sforzi, spesso invero poco sentiti, che il governo centrale annuncia di voler fare per calmare la bolla speculativa, i prezzi non fanno altro che salire, e il luogo migliore per mettere i propri soldi in Cina, malgrado i rischi, resta ancora oggi proprio il mattone (per gli stranieri, no, dal momento che hanno diritto ad acquistare un unico immobile e solo se risiedono nel Paese da più di un anno). 

Ma per i promotori immobiliari l’investimento è relativamente basso, dato che la manodopera costa poco, i terreni possono essere ottenuti a prezzi di favore grazie ad autorità locali compiacenti che, con le buone o con le cattive, scacciano i contadini che li occupavano, e i materiali non hanno bisogno di essere di pregio, basta che il risultato finale dia un buon colpo d’occhio.  
Così, grazie a questa connivenza fra re del mattone e autorità locali, il Pil cresce rapido anche nelle piccole località, aiutando i quadri di partito locali a vedersi aumentati gli stipendi e accedere alle promozioni, che sono calcolate tutt’ora proprio sulla base della crescita del Pil locale.  

Non si sarà prodotta ricchezza vera, sostenibile o duratura, ma spesso i nuovi ricchi sono realmente attratti da questi simboli occidentali (Tour Eiffel, Casa Bianca, villaggi austriaci e via dicendo). Guardandoli, è difficile capire che cosa esprimano: copie mal concepite che oscillano fra Disneyland e una anti-utopia in cui tempo e spazio si siano schiacciati in un unico Paese, mescolando finte piazze rinascimentali a villone californiane, in un unico tripudio di quanto è «estero», quindi raffinato e moderno, anche quando imita l’antico.  
L’immobiliare impazzito, poi, si auto fagocita, e ormai copia anche se stesso, con infinite repliche di finte strade delle dinastie Ming e Qing, che sono ormai state erette ovunque per ospitare i negozi per turisti – spesso, proprio lì dove sono state abbattute vere antichità, che stonavano con la visione fantasiosa che avevano i promotori immobiliari e i pianificatori urbani. 

Non conta l’autentico, e nemmeno quello che è utile, in una Cina che ha corso così forte verso la crescita economica da essersi lasciata indietro tutto il resto – a parte questa strana fantasia di avere una Tour Eiffel appena fuori Hangzhou. 

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