lunedì 10 marzo 2014

E l’immobiliarista impara un nuovo mestiere -Repubblica.it

Milano L a stagione del trading forsennato sugli immobili non tornerà a breve. Non è solo colpa degli scandali che hanno investito molti immobiliaristi italia (a partire dai famosi “furbetti del quartierino”), ma anche di un contesto di mercato molto diverso da quello che ha caratterizzato tutti gli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo. Con i prezzi del mattone scesi sensibilmente negli ultimi anni, il peso crescente della fiscalità e le politiche di concessione dei prestiti sempre più prudenti da parte delle banche, gli operatori del settore sono chiamati a reinventarsi. Anzi in parte lo hanno già fatto come sottolinea lo studio su “L’industria immobiliare italiana” redatto da Federimmobiliare. «Le aziende immobiliari si sono concentrate molto — o molto di più — sulla valorizzazione del loro patrimonio immobiliare, in essere o in acquisizione. Quell’attività che in inglese si chiama property management », si legge nel report. In sostanza si è messa in moto un’evoluzione del mercato che tende a ridurre i rischi legati all’acquisizione di nuovi immobili, nella consapevolezza che non sarà facile rivenderli in tempi ragionevoli portando a casa una plusvalenza. Al suo posto stanno invece crescendo gli sforzi per gestire al meglio il patrimonio già in portafoglio con l’obiettivo di superare indenni la fase negativa del mercato senza che i beni deperiscano. Il nuovo focus consente peraltro di ridurre i rapporti
con il mondo del credito. Molte società di sviluppo e trading immobiliare hanno chiuso i battenti negli ultimi anni e quasi tutte quelle rimaste sul mercato si trovano a fare i conti con i debiti pregressi. Dunque, è il ragionamento diffuso, non è il caso di aumentare l’esposizione finanziaria, considerato peraltro che il loan to value è in calo in tutti gli ingranaggi che compongono il mercato: dal momento in cui viene acquisito l’immobile agli stati di avanzamento dei lavori sempre più ritardati e ridotti nella quota di copertura degli effettivi costi sostenuti. Il tutto a fronte di una domanda che resta debole sia sul fronte dei privati, che delle aziende. Senza dimenticare il fronte normativo, che negli ultimi anni ha penalizzato gli interventi che aggiungono volumetria. Il risultato, come sottolinea la ricerca, è un «deterioramento della commercialità che ha forte connotazione strutturale e non meramente congiunturale, quindi destinato a durare nel tempo e in grado di modificare permanentemente le attività e il numero delle aziende del comparto». Un’analisi che aiuta a comprendere la svolta decisa delle aziende di settore, che in ogni caso non è alla portata di tutti. Perché la valorizzazione degli immobili richiede competenze tecniche e tecnologiche che non si apprendono in breve tempo, a maggior ragione in presenza di organigrammi tradizionalmente con una prevalenza di operai rispetto ai professionisti. Questi ultimi necessari per ripensare gli impianti, il modo di vivere all’interno degli edifici e l’efficienza energetica, solo per citare tre esempi. Chi riuscirà in questo processo di trasformazione continuerà a restare sul mercato, ma dovrà operare secondo canoni differenti: occorrerà una maggiore capitalizzazione per ovviare all’allungamento dei tempi, il coinvolgimento nell’iniziativa di chi detiene il bene da sviluppare e una riorganizzazione delle competenze professionali. (l.d.o.) E’ in atto un’evoluzione del mercato che tende a ridurre i rischi legati all’acquisizione di nuovi immobili.

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