giovedì 6 giugno 2013

Ipoteche su oltre 1.500 immobili sequestrati e confiscati dall'Antimafia: creditori in cerca di tutele di Michela Finizio - Il Sole 24 Ore



Sbarca a Milano il dibattito sulla tutela dei diritti dei terzi nel nuovo Codice Antimafia. È la Fondazione Rocco Chinnici, con il sostegno di Intesa Sanpaolo, ad aprire un tavolo di confronto, domani mattina al Palazzo di Giustizia, insieme all'ordine degli Avvocati di Milano e al direttore dell'Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), Giuseppe Caruso. Negli ultimi anni il ricorso crescente al sequestro e alla confisca dei beni immobili, anche al Centro e al Nord che fino a qualche anno fa ne erano immuni, ha prodotto alcuni effetti collaterali: quando ad essere colpita è una azienda – specialmente se media o grande – si creano conseguenze giuridiche di rilievo sui rapporti commerciali, di lavoro e finanziari, col coinvolgimento dei soggetti terzi (estranei ai fatti criminali) che intrattengono rapporti contrattuali con l'accusato; anche le ipoteche sugli immobili rischiano di essere travolte e nasce il problema, per le banche, di come tutelare i propri crediti. Gli operatori sottolineano che le tutele introdotte dal Codice Antimafia non sono in grado di dare risposte adeguate.
Difficile quantificare il fenomeno legato ai crediti incagliati nei beni immobili sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Gli istituti di credito non sono in grado di fornire stime. Sappiamo solo che, al 7 gennaio 2013, l'Anbsc contava 11.238 immobili e 1.708 aziende sequestrate e confiscate sul territorio nazionale. Il patrimonio immobiliare in gestione (non attualizzato) è stimato dall'Agenzia in 24,8 milioni di euro. In particolare, sugli immobili in gestione (3.995), circa 1.556 sono gravati da ipoteche certe: 1.065 con ipoteche volontarie, 343 con ipoteche giudiziali, 59 con ipoteche legali, 76 con pignoramenti e 13 da altri gravami ipotecari. Più in generale, il 43,53% degli edifici posti sotto sequestro e confiscati si trova in Sicilia, il 14,68% in Calabria, il 13,98% in Campania e l'8,85% in Puglia. Il restante 18,95% si trova in altre regioni, di cui 963 in Lombardia e 505 in Lazio. Sono poco più della metà quelli «destinati consegnati», per l'87% trasferiti al patrimonio indisponibile degli enti territoriali, soprattutto per finalità sociali, associazioni o alloggi per indigenti. Per quanto riguarda la tipologia degli immobili, circa il 54% sono abitazioni (ben 3.808 appartamenti), il 20% sono terreni agricoli e il 36% strutture industriali, commerciali e altri fabbricati.
«Il problema della tutela dei terzi – afferma Arianna Giorgetti, avvocato immobiliarista milanese, tra gli organizzatori del convegno – è sempre stato di difficile approccio per la mancanza di riferimenti normativi e la necessità di competenze specifiche. Con il nuovo quadro normativo è diventato un tema ancor più complesso e articolato: per ogni caso bisogna effettuare un'attenta disamina per comprendere quale sia la normativa applicabile alla fattispecie specifica. I creditori, inoltre, non sono parti del procedimento di prevenzione e pertanto non è facile avere informazioni precise e tempestive sulle procedure».
Le norme di riferimento, che intervengono sulla problematica, sono il Codice Antimafia (Dlgs 6 settembre 2011 n. 159) che dedica ai rapporti con i terzi il titolo IV del capo I (articoli 52 – 65), in vigore dal 13 ottobre 2012; e la legge 24 dicembre 2012 (legge di stabilità 2013, n. 228, art. 1 c 194 – 205) che regola i rapporti tra Stato e creditori pignoranti con riferimento alle misure di prevenzione disposte prima dell'entrata in vigore del Codice. In estrema sintesi «la confisca prevale sui pesi ed oneri iscritti e trascritti anche prima del sequestro» (per oneri e pesi si intende anche ipoteca e pignoramento). L'acquisto del bene da parte dello Stato è a titolo orginario: nel bilanciamento tra interesse pubblico e privato, prevale la salvaguardia del primo; il creditore è ammesso a una tutela di tipo risarcitorio solo se, attraverso apposito procedimento, riesce a provare la propria «buona fede». Le conseguenze di questo fenomeno si traducono in maggiori controlli in sede di erogazione del credito e impongono alle banche di dotarsi di nuove policy che tutelino i propri crediti.
Il nodo della buona fede
Il presupposto necessario per il riconoscimento del credito è la «buona fede», come previsto dall'art. 52 del Codice Antimafia. Proprio sulla buona fede le banche trovano i maggiori ostacoli, la giurisprudenza è molto rigida nel tema e difficilmente si riesce ad ottenerne il riconoscimento. La buona fede è un concetto civilistico: si deve dimostrare di aver positivamente adempiuto a tutti gli obblighi di accertamento e controllo in sede di erogazione del credito; il credito non deve essere strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede nesso di strumentalità (l'art. 52 del Codice – richiamato anche dalla legge di stabilità – cristallizza il principio di buona fede oggettiva e soggettiva).

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