Le ombre della politica sui mercati finanziari


La fase di euforia che stanno vivendo i mercati finanziari in queste settimane, palesemente non motivata dallo stato di salute dell’economia reale, ci stimola alcune considerazioni. Trade what you see, diceva Larry Williams, importante analista tecnico che opera sui mercati sulla base dei grafici che sofisticati software creano sui prezzi di borsa di titoli azionari, materie prime e valute. Il significato é quello di non farsi prendere dall’emotività e, soprattutto, da media, opinionisti e colleghi. Insomma, cercare di essere “freddi” ed operare come un chirurgo dovrebbe operare il suo paziente, e fidarsi solo di grafici e algoritmi.
Già, ma la realtà dei mercati si può davvero spiegare in questo modo? I fratelli Wachowski, celebri autori di Matrix, sorrideranno: è palese che i mercati non sono governati soltanto dalle leggi della domanda e dell’offerta. Alcuni esempi eclatanti: un’azienda quotata che in pochissimi giorni, a volte anche uno solo, guadagna (o perde) il 10% ha effettivamente un bilancio diverso da quello di pochi mesi fa? Le dimissioni di un manager possono davvero diminuirne il valore (o aumentarlo) in modo sostanziale? Ed ancora: ricordiamo tutti il caso del titolo Saipem, che all’inizio dell’anno in un solo giorno perde il 34% (quasi 5 miliardi di euro) per un semplice “allarme sui profitti”; la Consob è stata costretta ad aprire un’inchiesta per insider trading poichè proprio due giorni prima del crollo quasi 10 milioni di titoli sarebbero stati venduti ad investitori privati a 30,65 euro per azione da un importante fondo. Coincidenza in effetti abbastanza singolare, vero?
A volte si tratta soltanto di normali azioni speculative, più o meno lecite. Altre volte invece, ed è l’aspetto che qui vorrei sottolineare, si verificano delle “influenze esterne” dettate da interessi diversi dalle valutazioni tecniche sulle singole situazioni. Vorrei chiamarli…. “interessi di ordine superiore”. Per esemplificare il concetto: una “politica concertata” che mira a screditare il “Paese Italia” e che porta ad un abbassamento del nostro rating (peraltro calcolato da agenzie americane) ha come effetto che un’azienda italiana si debba indebitare a tassi più alti rispetto ad un suo competitor estero. Questo inciderà sensibilmente sulla competitività dell’intero sistema economico.
Analogamente, ci si potrebbe chiedere: è ragionevole che un titolo di stato italiano a 10 anni renda molto di più (nell’ordine di 2 – 3 punti percentuali e in un passato abbastanza recente fino a 5) rispetto ad un Paese come la Germania? Ed ancora: il motivo per cui il dollaro da mesi è così basso rispetto alla moneta unica è dettato da un’Europa che è particolarmente “sana e forte” o piuttosto dal fatto che gli USA beneficiano di una moneta debole per le esportazioni, tanto da accreditare l’idea di una vera “guerra valutaria”?
Non si tratta di fare fantafinanza, ma semplicemente di acquisire una visione realistica di come si muove la politica internazionale e di come questa riesca ad influenzare i mercati. Se così stanno le cose, c’è solo da augurarsi che si possano in futuro costruire le condizioni per un mercato più trasparente e controllato, dove l’informazione sia veicolata correttamente e tramite i canali ufficiali. Dal canto suo, l’investitore dovrebbe imparare ad essere disincantato sui mercati e possibilmente a saper cogliere alcune opportunità generate da “interessi superiori”. Nella consapevolezza che la realtà è ben lungi dall’essere soltanto quella dei bilanci e dell’analisi macroeconomica che studiamo sui libri