venerdì 14 giugno 2013

L'insostenibile peso dell'Imu sugli immobili delle imprese di Gianni Trovati - Il Sole 24 Ore

Chi vuole osservare nella sua forma più splendente il circolo perverso fra crisi economica e impennata della pressione fiscale deve guardare a quel che è successo al mattone delle imprese. Di Imu la politica ha parlato finora quasi solo per dividersi sul destino dell'imposta sull'abitazione principale, che però vale 4 miliardi di euro sui 24 prodotti in totale dall'erede dell'Ici: quasi 12 invece, vengono dagli immobili «produttivi», cioè soprattutto dai capannoni delle imprese, ma anche dagli alberghi e dai centri commerciali.

Proprio mentre la gelata dell'economia ha colpito i margini delle imprese (la produzione industriale in Italia cala da 20 mesi consecutivi secondo i dati diffusi dall'Istat lunedì), e la frenata dei consumi schiaccia i bilanci di commercio e turismo. Con un'aggravante: l'Imu dovrebbe colpire il patrimonio, ma un capannone o un albergo sono per l'impresa strumenti di lavoro: «È come far pagare la patrimoniale su un tornio» ha spiegato con immagine efficace il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, ma cambiare rotta ora non è semplice. Imprenditori e investitori sperano ora che venga tradotta in pratica la premessa contenuta nel decreto «blocca-Imu» varato dal Governo Letta, che promette di far "scontare" l'Imu dai redditi d'impresa: restano però tutti da scrivere parametri, limiti e meccanismi di questa deducibilità, che da sola non basterebbe a tornare ai livelli dell'Ici ma potrebbe costare più di tre miliardi di euro ai conti dello Stato.
A dire che il cambio di passo non è più rinviabile sono i numeri: il mercato del «non residenziale» ha perso dal 2008 al 2012 (si veda Mondo Immobiliare del 30 maggio), ma la picchiata si è concentrata nel 2012, anno del debutto dell'Imu, quando le transazioni sono crollate del 24,1% rispetto a un 2011 che già non aveva brillato.
Investire in queste condizioni, del resto, significa ingaggiare una battaglia con un Fisco che ha ormai le fattezze di un gigante. Per spiegare le dimensioni del problema, basta sintetizzare la storia fiscale di un capannone medio-piccolo (2mila metri quadrati) in una zona industriale di Milano: nel 2011, quando ancora c'era l'Ici, possedere un immobile del genere costava poco più di 11.500 euro all'anno di imposta locale. L'Imu ha aumentato del 20% i valori fiscali di tutti i fabbricati delle imprese, in modo lineare e senza tenere in alcun conto le caratteristiche dei diversi immobili: poi è intervenuto il Comune, che come in migliaia di altri enti, ha portato l'aliquota verso il nuovo limite massimo, che invece del 7 per mille dell'Ici arriva al 10,6 per mille dell'Imu. Risultato: lo stesso immobile ha pagato di Imu poco meno di 30mila euro, con un incremento annuale che supera il 155 per cento.
E quest'anno? Andrà anche peggio, per due ragioni. La legge statale riserva quest'anno un ulteriore aumento dell'8,33% della base imponibile, e l'acconto cambia le regole di calcolo rispetto allo scorso anno: nel pagamento della prima rata, da versare entro lunedì prossimo se non ci si vuole imbarcare sul meccanismo delle sanzioni, bisogna fare i calcoli sull'aliquota effettiva decisa dal Comune, e non sui parametri standard fissati dalla legge statale. La rata di giugno, insomma, aumenta del 51,1% rispetto a quella di 12 mesi fa, sperando di compensarne una quota con gli "sconti" di fine anno.
Dal momento che chi investe avrebbe bisogno di visibilità a medio termine sulle condizioni, questa continua incertezza delle regole fa il paio con l'impennata delle richieste del Fisco nell'azzoppare le iniziative. In ogni caso, è certo che anche eventuali miglioramenti nel trattamento fiscale non riusciranno a riportare il peso dell'imposta ai livelli precedenti al decreto «Salva-Italia» che ha fatto nascere l'Imu.
Anche per spiegare questo aspetto bastano poche cifre, elaborate su un capannone-tipo (non grande) caratterizzato da un valore catastale da un milione di euro. L'aliquota media dell'Ici applicata dai Comuni era nel 2011 del 6,4 per mille, per cui l'imposta media viaggiava sui 6.400 euro. Con l'Imu il valore fiscale è passato a 1,2 milioni, l'aliquota media al 9,33 per mille (il 50,5% dei Comuni, tra i quali tutte le grandi città, hanno alzato l'imposta sugli immobili diversi dall'abitazione principale), per cui l'imposta è volata a 11.196, con un aumento del 74,9 per cento. Nel 2013, con il nuovo incremento lineare citato prima, la base imponibile è salita a 1,3 milioni, e l'imposta è arrivata a 12.129 euro, salendo dell'89,5% rispetto all'Ici del 2011. Ora il decreto blocca-Imu promette che nella «riforma complessiva» del Fisco immobiliare, che il Governo intende «applicare» entro il 31 agosto, sarà introdotta la deducibilità dell'imposta municipale dal reddito d'impresa: dal momento che l'aliquota Ires è del 27,5%, lo sconto sarebbe di 3.335 euro e porterebbe il «conto netto» dell'Imu a 8.793 euro: una cifra inferiore a quella pagata l'anno scorso, dunque, ma superiore del 37,4% a quella versata ai tempi dell'Ici.
La deducibilità, insomma, è una buona notizia, ma non è sufficiente da sola a far ripartire il mercato del non residenziale: che avrebbe bisogno anche di una complessiva revisione dei valori catastali, per la quale però l'amministrazione ha già messo le mani avanti: «in meno di cinque anni - ha spiegato il direttore dell'agenzia delle Entrate Attilio Befera in Parlamento – non si può fare».

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