Case non più alte di due piani, prive di elementi
sporgenti, incatenamento di travi e solai alle mura: sono alcune delle regole
per un'edilizia antisismica emanate dal governo borbonico dopo il terremoto
delle Calabrie iniziato il 5 febbraio 1783. Si tratta della sequenza sismica
più lunga e disastrosa del nostro Paese, durò circa tre anni e causò oltre
30.000 vittime. A ricostruire la storia del sisma e della ricostruzione
edilizia che ne seguì sono Filippo Bernardini della sezione di Bologna
dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e Carlo Meletti
dell'Ingv di Pisa. La ricostruzione fatta dal governo Borbonico, fu pensata,
scrivono Bernardini e Meletti, secondo regole e piani urbanistici totalmente
nuovi, finalizzati alla riduzione del rischio sismico. Il lavoro della 'task
force' di esperti che il governo Borbonico mise in piedi per studiare il
fenomeno e trovare soluzioni edilizie sicure ed efficaci per la ricostruzione
gettò le basi a quello che secondo il Consiglio Nazionale le delle ricerche
(Cnr) è il primo regolamento antisismico d'Europa. Durante la sequenza sismica
si verificarono due eventi molto forti, il 5 febbraio e il 28 marzo 1783, che
ebbero ciascuno magnitudo di circa 7. Vi fu anche uno tsunami con ondate che
investirono le coste. Gli effetti furono devastanti in Calabria e Sicilia
nord-orientale: 182 centri rasi al suolo, circa 30.000 morti in Calabria, cui
si aggiunsero le vittime in Sicilia (almeno 700 solo a Messina). Il re di
Napoli, Ferdinando IV di Borbone, inviò una spedizione di esperti per eseguire
indagini scientifiche e trovare soluzioni edilizie sicure. Le norme emanate per
la ricostruzione, suggerirono: forma delle città, dislocazione degli edifici,
larghezza delle strade e diedero regole antisismiche precise per la struttura
degli edifici.
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