lunedì 8 luglio 2013

Immobili pubblici: il piano per venderli e per abbattere il debito di Andrea Telara - panorama


Un piano molto articolato, che ha obiettivo ambizioso: raccogliere più di 200 miliardi di euro da utilizzare per la riduzione del debito pubblico. Sono queste, in sintesi le caratteristiche del programma di dismissione e valorizzazione del patrimonio immobiliare dello stato, che oggi alcune forze politiche (e in particolare il Pdl) vorrebbero mettere in cantiere in tempi relativamente brevi, cioè entro il 2015.

Già il governo Monti si è mosso in questa direzione, con un piano redattodall'ex-ministro dell'Economia, Vittorio Grilli , che è ormai giunto ai nastri di partenza. In particolare, Grilli ha creato nella scorsa legislatura unaSgr (società di gestione del risparmio) che amministrerà un fondo immobiliare costituto interamente da edifici, fabbricati e terreni di proprietà pubblica, individuati dal Tesoro (e poi conferiti al fondo stesso nei prossimi anni) per un valore di circa 15-20 miliardi ogni 12 mesi. Con questa operazione, che prevede la vendita sul mercato delle quote del fondo, lo stato ha intenzione di ricavare una somma di circa 100 miliardi in 5 anni, da destinare appunto alla riduzione dell'indebitamento.
Ora, però, c'è chi vuole andare ben oltre l'obiettivo fissato daGrilli. Lo scopo è di rastrellare altri 210-230 miliardi di euro, valorizzando quegli immobili pubblici che, nel breve periodo, sono difficilmente alienabili, perché hanno bisogno di una ristrutturazione o di un cambiamento nella destinazione d'uso. Si tratta di un'operazione che ha come regista il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta e che finora non ha incontrato particolari opposizioni, né all'interno della maggioranza che sostiene il governo Letta, né all'interno dell'esecutivo (anche se si parla di un forte scetticismo del ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni e degli alti funzionari del Tesoro).
In pratica, in base ai progetti del Pdl, è prevista la creazione una sorta di “società-veicolo” in cui saranno conferiti beni patrimoniali e attività dello stato. Le quote di questa nuova entità, che è un soggetto di diritto privato, saranno poi acquistate in buona parte da investitori qualificati come le banche, le fondazioni o le compagnie assicurative. Il corrispettivo della vendita servirà al Tesoro per ridurre il debito pubblico mentre la costituenda società potrà emettere obbligazioni sul mercato a media e lunga scadenza (15 o 20 anni), garantite dagli stessi beni immobili conferiti dal governo. Si tratterebbe di titoli rappresentativi di un debito che, essendo collocati da un soggetto di diritto privato, uscirebbero così dal perimetro della contabilità nazionale (cioè non verrebbero più conteggiati tra l'indebitamento della pubblica amministrazione).
LE RISORSE A DISPOSIZIONE
Prima della scadenza del prestito obbligazionario, la nuova società avrebbe il compito di valorizzare i propri asset, cioè gli immobili ricevuti come conferimento, cercando di metterli a reddito e renderli più appetibili per gli investitori. E' proprio da quest'ultimo punto che dipenderà in gran parte il successo o il fallimento dell'operazione di abbattimento del debito pubblico. Le risorse per attuare il progetto, almeno sulla carta, ci sono tutte . A dirlo, un paio di anni fa, è stato uno studio elaborato dal dai tecnici del Ministero dell'Economia e delle Finanze, secondo i quali il valore complessivo dei fabbricati e dei terreni ancora in mano pubblica ammonta a ben 368 miliardi di euro. Anche sottraendo i 100 miliardi da destinare al piano del ministro Grilli, rimarrebbero a disposizione oltre 260 miliardi: un tesoretto non da poco, che darebbe un bel colpo al debito italiano.
Non manca, però, l'altra faccia della medaglia. Secondo le stime del ministero, infatti, lo stato centrale possiede direttamente soltanto il 20% degli immobili censiti, per un valore di poco superiore a 72 miliardi. Altri 11 miliardi sono invece di proprietà delle regioni, 29 miliardi delle province, 25 miliardi delle Asl e 10 miliardi delle università. La quota maggiore spetta invece ai Comuni che, sempre secondo i tecnici ministeriali, detengono ben 227 miliardi di euro di immobili pubblici. C'è dunque il rischio che sorga una lunga sfilza di conflitti tra le amministrazioni dello stato perché gli enti locali (e in particolare i municipi, che hanno in mano l'urbanistica delle città) difficilmente si faranno portar via un bel pezzo del loro patrimonio, senza fare ostruzionismo.

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